Nella giornata di ieri, mercoledì 24 luglio, diverse testate giornalistiche hanno dato la notizia delle motivazioni depositate nella sentenza di assoluzione del 26 aprile 2024 da parte della Prima Corte di Appello di Roma sul conto del maresciallo Fabio Manganaro.
Con grande felicità per il nostro collega, leggiamo che “la condotta tenuta dal maresciallo Manganaro non è stata accompagnata dalla coscienza e volontà di realizzare una condotta criminosa, vale a dire di determinare consapevolmente un significativo peggioramento della restrizione della libertà personale e magari anche di umiliare il fermato per fini vendicativi o di impedire a Natale Hjorth di riconoscere gli altri militari che lo stavano insultando o minacciando” ma è stata accompagnata “solamente dalla volontà di proteggere l’integrità fisica e psichica di Hjorth, nel tentativo di riportarlo alla calma e di meglio compiere gli atti di polizia giudiziaria…”.
Come scrivono i giudici d’appello, “la scelta del bendaggio degli occhi è stata presa nella immediatezza, certamente non è stata programmata ed è risultata un’azione estemporanea e d’impeto in quanto il Manganaro ha utilizzato il primo accessorio che casualmente ha rinvenuto nella stanza ovvero un foulard lasciato in precedenza da qualcuno sull’attaccapanni della stanza stessa. La mancanza di prova certa della durata del bendaggio stesso non può escludere che la stessa privazione del visus del giovane fermato si sia limitata a un numero indeterminato, ma limitato di minuti … abbia sì adottato oggettivamente una irrituale temporanea misura di maggior rigore, ma abbia agito senza la volontà di modificare in senso peggiorativo lo stato di restrizione in cui si trovava legalmente Natale Hjorth … deve pure considerarsi che Manganaro, in quel contesto ambientale assai complicato, ha dovuto prendere da solo e senza il supporto delle gerarchie superiori e senza potersi confrontare con altri colleghi, delle decisioni immediate importanti sulla gestione della persona fermata”.
Questo passaggio, estrapolato dalle motivazioni, è meritevole di essere evidenziato e il Nuovo Sindacato Carabinieri, con spirito di orgoglio e di supporto verso il collega coinvolto, ci tiene a enfatizzarlo e a renderlo pubblico, perché esalta la professionalità del Maresciallo Manganaro.
Ci riempie di gioia ma al tempo stesso non cancella la nostra memoria, fatta di condanne istantanee da parte dell’allora Capo di Governo Giuseppe Conte e dell’allora Comandante Generale, Generale Giovanni Nistri.
La parte pubblica è consultabile a tutti, i motori di ricerca aiutano, ma la parte prettamente privata e militare è nota a pochi.
Mi chiedo se sia possibile dopo una foto che scioccamente è stata fatta girare a mezzo social – ma ricordiamoci sempre che Mario Cerciello Rega è stato assassinato con undici coltellate creando uno stato di agitazione e voglia di giustizia in tutti i carabinieri – che un difensore dello Stato, che con abnegazione e senso di giustizia ha catturato i due assassini del nostro compianto e mai dimenticato collega Mario, possa subire a stretto giro trasferimenti d’ufficio dopo venticinque anni di onoratissimo servizio nell’ambito investigativo, solo perché l’allora premier in quella foto ci vedeva sbrigativamente due reati.
Per colpa, poi, del processo mediatico instauratosi, Manganaro venne trasferito in servizio provvisorio, poi arrivò la condanna del Capo del Governo a scatenare il Comandante Generale che lo “distrusse”, sbriciolando anche la sua vita privata e familiare, con conseguenti indebitamenti gravosi e turbamenti importanti nella vita personale.
È quasi paradossale, infine, e lascia l’amaro in bocca, scoprire, a distanza di anni, che né il Capo del Governo né il Comandate Generale sono le autorità preposte a giudicare l’operato dei difensori dello Stato.
Eh già, la famosa giustizia, in cui ogni carabiniere crede incondizionatamente, anche quando non se ne comprendono le sentenze (la Corte d’Assise d’Appello di Roma ha deciso di concedere a Gabriele Natale Hjorth gli arresti domiciliari) ma ci crede appunto e la persegue giornalmente, in difesa delle istituzioni e dei più deboli, incluso il fermato esagitato autolesionista.
Nell’articolo giornalistico leggiamo che gli avvocati Roberto De Vita e Valentina Guerrisi confidano, per il loro assistito, in un incontro con il Comandante Generale Teo Luzi come gesto simbolico riparativo per tutta la sofferenza patita in solitudine dal sottufficiale e dalla sua famiglia.
Io credo che sia d’obbligo un incontro con il nostro Comandate Generale, che si deve far carico, ahimè, di ridare la giusta dignità a un uomo che ha solo fatto il suo lavoro, eccedendo in professionalità e pagando un conto fin troppo salato tra demansionamento, sospensione dal servizio, sanzione disciplinare di Stato, separazione familiare, indebitamento per le spese legali.
Il collega Manganaro merita ben oltre che un incontro riparatorio!
Merita le scuse pubbliche della politica, delle istituzioni e dell’Amministrazione, perché certi processi mediatici segnano per tutta la vita e tutti siamo Manganaro, difensore dello Stato, caduto in disgrazia per abuso di processo mediatico e smania di pubblicità e protagonismo.
Perdonaci Fabio Manganaro, da lassù Mario ti ringrazia.
Ilario Castello, segretario nazionale del Nuovo Sindacato Carabinieri